• » Catalogo
  • » Vite
  • » Vitigni tradizionali e "autoctoni dell'Oltrepò pavese"

Vitigni tradizionali e "autoctoni dell'Oltrepò pavese"

Vitigni tradizionali e "autoctoni dell'Oltrepò pavese"
Alberto Vercesi e Garavani Alessandra

Nella produzione di vini di qualità e tipici, oltre all’ambiente di coltura, sono di fondamentale importanza i vitigni (varietà di vite) impiegati dai viticoltori. La cultura ed il svoire faire delle genti locali, fanno il resto per ottenere vini unici difficilmente ripetibili in altri contesti.

Il patrimonio di vitigni di oggi ci deriva dal lontano passato, con ogni probabilità le prime varietà di vite domestica giunsero in queste zone oltrepadane dalla colonia greca di Marsiglia nel sud della Francia nell’ultimo millennio a.C. attraverso l’Appennino, che allora era popolato dagli antichi Liguri (Sereni, 1964). I Romani, fra il II sec. a.C. ed il I sec. d.C. organizzarono e diffusero la viticoltura in modo sistematico nel territorio, fino alla pianura. Cessata la “stabilità romana” con la caduta dell’Impero e l’inizio del lungo periodo instabile delle cosiddette “invasioni barbariche”, la viticoltura si ritrasse nei Monasteri e nei suoi possedimenti ove, anche per le esigenze enologiche eucaristiche, era particolarmente accudita.

Per l’Oltrepò Pavese il Monastero di riferimento fu quello di Bobbio fondato nel 614 d.C. da S. Colombano all’inizio della prima parvenza di stabilizzazione politica dell’area con i Longobardi, allorquando queste terre già afferivano a Pavia capitale del loro Regno. I possedimenti del Monastero di Bobbio si estesero a gran parte dell’Oltrepò Pavese, dai monti fino alle colline meno elevate e vi diffusero nuovamente la viticoltura attraverso le loro curtes; i luoghi dell’Oltrepò Pavese che ospitavano curtes del Monastero di Bobbio sono riferibili perlopiù agli attuali Comuni di Romagnese, Menconico, Brallo di Pregola, Zavattarello, Valverde, Val di Nizza, Ruino, Golferenzo, Canevino, Santa Maria della Versa, Borgoratto Mormorolo, Bosnasco, Santa Giuletta (Schiavi, 1999; Baruffi, 2013-2017). Le varietà di vite coltivate dai viticoltori dopo l’anno 1000 con ogni probabilità erano quelle nate per incrocio naturale di varietà preesistenti, poi scelte dall’uomo e da lui propagate agamicamente. Molti dei vecchi vitigni definiti “autoctoni” oggi nelle Province di Pavia (di cui ha fatto parte integrante Bobbio ed il suo circondario dal 1861 al 1923) e Piacenza, sono infatti stati recuperati nei comuni montani delle due Province in prossimità del Monastero. Nella società medioevale dove gli scambi non erano facili, i territori si divisero in molte enclave ove si spezzettò la viticoltura e si generarono anche molte diverse pressioni selettive sui vitigni ampliando ulteriormente la biodiversità viticola. Questa grande varietà di vitigni coltivati in Oltrepò Pavese trova conferma nel censimento redatto dopo l’unificazione d’Italia nella seconda metà del 1800 (Giulietti, 1884). In quel censimento diverse decine varietà erano riportate come ampiamente diffuse in tutti i Comuni dell’Oltrepò Pavese (dalla montagna alla pianura).
L’arrivo alla fine del 1800 dall’America della fillossera dall’America, insetto mortale per le viti europee, costrinse al reimpianto di tutti i vigneti su “piede americano” (un portinnesto); le viti americane, infatti, selezionatesi nel nuovo mondo alla presenza della fillossera ne erano immuni. In quella ricostruzione, i viticoltori oltre-padani predilessero nei nuovi impianti solo alcune delle molte varietà di vite coltivate, quelle che più sposavano il mercato di allora e/o quelle che sembravano più facili da vinificare e/o meno sensibili alle “malattie fungine americane” anch’esse giunte dall’America nei decenni appena precedenti la fine del 1800 (Peronospora ed Oidio). Così si ridusse il numero delle varietà coltivate e la biodiversità coltivata della vite in loco iniziò a diminuire drasticamente; questo depauperamento fu inconsciamente favorito anche dai dispositivi relativi ai vini D.O.C. ed ai finanziamenti europei del secolo scorso che ben consideravano solo i vitigni più diffusi sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista della propagazione.

Un gruppo di questi vitigni che quindi divennero “minori” furono sempre più abbandonati e, ormai giunti sull’orlo dell’estinzione (ne esistevano pochi individui), sono stati recuperati in extremis solo grazie ad impegnativi e lungimiranti progetti di ricerca sostenuti dallo Stato, prima e poi dalle Regioni, nel nostro caso la Regione Lombardia, negli ultimi 40 anni. In Oltrepò Pavese alcuni di questi antichi vitigni tradizionali minori (“autoctoni”) con la collaborazione delle Università: Statale e Cattolica di Milano, sono stati ben identificati e registrati al Registro Nazionale delle Varietà di Vite ed altri sono ancora in corso di studio.
Pertanto oggi in Oltrepò Pavese esiste un patrimonio di vitigni (piattaforma ampelografica) di grande interesse e si compone, da un lato, di un gruppo varietà di vite di maggior diffusione e a più rilevante significato economico, quali soprattutto: Croatina, Pinot nero, Pinot grigio, Barbera, Riesling italico e Moscato bianco, dall’altro un gruppo di varietà poco e per nulla diffuse e da salvaguardare (definibili tutti “vitigni antichi” o “vitigni autoctoni” minori), i nomi di queste ultime varietà, oggi registrate sono: Ughetta di Canneto (Vespolina), Uva rara, Moradella, Mornasca, Croà e Verdea.

Antichi vitigni locali e “autoctoni” dell’Oltrepò Pavese.

I vitigni censiti nel 1800 in Oltrepò Pavese (Giuglietti, 1884) erano circa 120 a uva rossa ed altrettanti a bacca bianca, a testimonianza della grande tradizione produttiva dei luoghi. Molto coltivati in almeno 10 Comuni erano 13 “rossi” (Moradella in 62 Comuni, Ughetta di Canneto in 37, Croatina e Vermiglio in 28 e 25, rispettivamente) e 7 “bianchi” (Trebbiano in 42 comuni, Malvasia in 64, Moscato in 19); un altro “mondo” rispetto alla viticoltura di oggi; l’unico vitigno di oggi che era anche allora fra i più coltivati e può considerarsi un “autoctono” diffuso dell’Oltrepò Pavese è il Croatina, il Barbera, ad esempio allora era oltre la decima posizione in graduatoria, era già coltivato il Pinot nero.

Croatina e Pinot nero
Parlando della viticoltura dell’Oltrepò Pavese e dei suoi vitigni più tipici, dobbiamo per forza accennare al più coltivato (oltre 3000 ha), fra i più “autoctoni” ed ubiquitari della zona, asse portante dei più importanti vini rossi dell’Oltrepò Pavese: il o la Croatina. A questa, da oltre un secolo, fa il suo pari per la produzione dei vini bianchi locali di maggior prestigio, come gli spumanti, il Pinot nero.





Pubblicata il: 14/10/2022
- A +